venerdì 30 settembre 2016

THE KITCHEN DIARIES III: TIRIAMO LE SOMME?




C'era una volta un re (toh, che strano), che si chiamava Carlo II Stuart. 

Suo padre, Carlo I, si era fatto talmente prendere la mano dalle politiche dell'assolutismo che tanto funzionavano nella vecchia Europa da dimenticarsi che in Inghilterra non gliela avrebbero fatta passare liscia: il tempo di due o tre decreti manifestamente contro la liberta' del Parlamento ed ecco pronta la rivoluzione, con tanto di ghigliottina d'ordinanza, adeguata risposta "europea" alle altrettanto europee ambizioni del sovrano. 
Ma, si sa, agli Inglesi l'Europa non piace: e così, dopo aver tentato di cancellare l'onta del re giustiziato in un modo cosi dannatamente passionale e volgare con due punti di sutura e una bella canonizzazione (giuro: gli riattaccarono la testa e lo fecero santo), dopo aver lasciato arrugginire la ghigliottina in qualche segreta della Torre di Londra, dopo  aver seppellito con Oliver Cromwell anche tutte le noiosaggini del Puritanesimo, si affrettarono a richiamare in patria il loro legittimo sovrano, con tante scuse.

Il dispaccio arrivo' in Europa, dove Carlo II stava allenandosi a diventare re, fra intrighi politici e schermaglie amorose. Doveva essere bravo in entrambe, visto che riusci' a impossessarsi del trono nel giro di pochi anni e ad avere 12 figli, a dispetto di una moglie sterile. Ma il campo in cui raggiunse livelli di eccellenza fu il francesissimo bon vivre, a cui lo inizio' il cugino di Francia, tale Luigi XIV, nel buen retiro alle porte di Parigi, in quella Versailles destinata a passare dall'anonimato della provincia all'emblema di un assolutismo sfrenato, in pochi decenni. 
E l'assolutismo, Carlo II lo aveva proprio nel DNA: hai voglia a crescere mite e moderato, se tuo padre e' l'unico re giustiziato della storia d'Inghilterra e sei cugino primo di Re Sole, per parte di madre. Solo che, a differenza dei genitori, il rampollo prese da subito un altro indirizzo di studi: alle strategie della politica, preferi' quelle delle schermaglie amorose, ai giochi di alleanze quelli di carte e al gusto per gli intrighi, quello della buona tavola. Scoperta, in tutta la sua magnificenza, a Versailles e nelle regge satellite.

Ora - e qui ci avviciniamo all'argomento - non e' che nell'Inghilterra del XVII secolo si mangiasse male. O meglio: non e' che si mangiasse diversamente dal resto dell'Europa. La cucina dei poveri era forzatamente quella che noi oggi chiamiamo "di territorio", elevando a gastrofighettismo quel km 0 che a quei tempi era la necessita' per sopravvivere. Quindi, diversa e variabile, a seconda del tempo e dello spazio.
La cucina dei ricchi invece era la stessa, ovunque. Non c'erano stagioni, non c'erano territori, non c'era nulla di tutto quello che incide sulla personalita' di un piatto.
Questo perche' a dominare nelle cucine regali erano  regole strettissime, che spaziavano dal salutismo alla ragion di stato e che non dovevano essere modificate, pena la perdita di quell'immagine di potere che trovava la sua apoteosi nel banchetto. In Italia, in Francia, in Spagna e anche in Inghilterra, cioe', si mangiavano le stesse cose, preparate allo stesso modo: potevano variare alcuni ingredienti, sulla base della disponibilita' del mercato: ma tecniche e sapori erano praticamente gli stessi. 

A dettar legge, fino al secolo prima, erano stati gli Italiani: fantasia, ricchezza, posizione geografica e genialita' avevano fatto si che dall'Italia partissero tutte le mode in tema di gastronomia: e se oggi i Francesi tendono a ridimensionare la portata delle innovazioni di Caterina de' Medici nella loro tradizione, e' solo perche' la verita' fa male e a volte brucia, anche dopo secoli. 
Ma quando, il secolo successivo, l'Italia infilo' il tunnel delle dominazioni straniere, ecco che il testimone passo' al di la' delle Alpi e, all'improvviso, tutto cambio'. 

Il cambiamento era nell'aria da un po', ad essere sinceri: la diffidenza verso i prodotti importati dalle Americhe andava finalmente scemando, le coltivazioni della canna da zucchero nelle isole europee avevano reso accessibile a tutti il gusto del dolce, le tecniche si stavano affinando, la chimica stava nascendo: aggiungeteci un re ricchissimo e gaudente, una brigata di cuochi geniali e desiderosi di sperimentare e un pubblico ansioso di novita' - ed ecco spiegato perche', quando Carlo II ando' a trovare il cugino, desidero' farsi inchiodare alla tavola e non muoversi mai piu' da li'. 
Fu il richiamo della Storia, a farlo tornare in patria: ma, con lui, sbarcarono anche queste nuove maniere,questa raffinatezza ricercata e nuova, questa cucina cosi raffinata, seducente e sorprendente che divenne il nuovo simbolo del potere, al di qua della Manica. 

E' qui che si segna l'inizio dell'unica sudditanza che il popolo inglese subi', nel corso della sua storia: fu la cucina francese, e non quella nazionale, a diventare l'emblema dello status sociale dei ricchi, con una distinzione nettissima, che si e' mantenuta fino alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale: ad eccezione dell'inglesissimo Afternoon Tea, i piani alti mangiano alla francese e i piani bassi all'inglese, con tutte le implicazioni emotive che ne conseguono, prima fra tutte il senso di inferiorita' che, dalla classe sociale, si estende alla tradizione gastronomica. 

Da qui anche la degenerazione del gusto, il dilagare dello scatolame, del cibo "fast", "junk" e tutti i peggiori aggettivi che vi vengono in mente, che hanno consolidato nell'immaginario collettivo la convinzione che male come in Inghilterra non si mangi in nessun'altra parte del mondo. 

Se da vent'anni a questa parte le cose sono cambiate e oggi gli chef Inglesi e la loro cucina occupano un meritatissimo posto al sole, e' grazie soprattutto ad un manipolo di scrittori che, dalla fine degli anni Sessanta a oggi, ha fatto di tutto per non disperdere il patrimonio della cucina inglese e britannica: quando nell'italica patria del buon cibo chi ne scriveva inneggiava ai surgelati, al dado da brodo, alle scatolette e alla cucina in 5 minuti, in Inghilterra autrici straordinarie come Elizabeth David e la mia adorata Jane Grigson parlavano di cibo sano e buono, non avendo paura di intitolare i loro libri "Good Things" e a dilungarsi per pagine sulla bonta' dei prodotti del loro territorio. Quando l'editoria italiana si e' accorta che c'era un mondo oltre il nostro mare e le nostre Alpi, Claudia Roden aveva svelato da trent'anni, agli inglesi e da naturalizzata inglese, la cucina mediorientale. Quando gli Americani hanno santificato Julia Child, che insegnava loro a cucinare alla francese, gli Inglesi erano tornati da decenni ai puddings e agli stufati, grazie a Delia Smith, a Linda Collister, a Mary Berry.  E quando le nostre riviste hanno preso la triste china che, seppure con qualche eccezione, le ha portate al piattume dei nostri giorni, un certo Nigel Slater decideva di parlare del cibo britannico nella sua semplicita', trovando proprio in questa chiave la ragione unica per esaltarlo. 

E' anche a Nigel Slater, ultimo rappresentante di questo primo gruppo di coraggiosi rivoluzionari, che si devono la tutela ed il riscatto di quell'enorme patrimonio di ricette che costituiscono l'ossatura della tradizione britannica: onesta, semplice, buona e capace di guizzi sorprendenti. Lui la racconta con toni gentili e con le parole giuste, da sempre: nei Kitchen Diaries, con una vena intimista che gli deriva forse dall'eta' ma che non sconfina mai nel patetico o nel sensazionale. Le sue ricette sono mille variazioni sul tema di un mangiare bene all'inglese, attingendo alle risorse di un mercato che da secoli usa e conosce prodotti piu' o meno locali, cucinati con semplicita' e raccontati con garbo e leggerezza. 
Nessuna delle Starbookers aveva dubbi, sulla "tenuta" di questo testo: le remore che per anni ci hanno trattenuto dal proporre questo autore allo Starbooks nascevano semmai proprio da qui, dalla certezza del risultato, unita al timore di una supponenza che mai come in questo caso non ci appartiene. Nello stesso tempo, l'ondata dei nuovi autori, con l'enorme potere mediatico che li accompagna, rischia di eclissare i vecchi, quelli che hanno spianato loro la strada quando era impervia e tutta in salita. E se mai questo blog ha un senso, e' anche quello di diffondere buoni libri, buoni scrittori, buone letture. 
E con Slater sono assicurati, tutti e tre.

Ci vediamo ad Ottobre, con il prossimo titolo

giovedì 29 settembre 2016

MERINGUES WITH LIME CURD AND PISTACHIOS




Quando ho scoperto di essermi classificata tra le prime tre nello Starbook redone estivo non stavo più nella pelle dalla gioia! E l'emozione è cresciuta quando ho iniziato a leggere le ricette del libro del mese “The Kitchen Diaries III” di Nigel Slater, un vero e proprio diario culinario che raccoglie ricette perfette per ogni occasione suddivise per stagionalità. 
Scegliere quale ricetta provare, non è stato per nulla semplice ma, alla fine, lasciandomi trasportare dalle atmosfere che l'autore ha saputo creare, ho deciso di optare per le meringhe con lime curd e pistacchi del mese di aprile. Dolci, dalla consistenza simile a quella dei mashmallow, si sposano benissimo con il lime curd che grazie alla sua acidità crea un piacevole contrasto, dando alle meringhe una marcia in più e smorzandone la dolcezza insieme ai pistacchi salati che conferiscono croccantezza e rendono particolare il piatto.
La ricetta mia ha incuriosito anche perchè, nonostante io sia solita preparare spesso le meringhe, non avevo mai provato a scaldare in forno lo zucchero prima di aggiungerlo agli albumi e, come sottolinea l'autore, questa tecnica rende davvero molto più semplice realizzarle!
Con un pizzico di ansia da prestazione, ma fiera di poter collaborare per questo mese con lo staff dello Starbook, ecco le golosissime “Meringues with lime curd and pistachios” perfette per concludere un pasto ma anche come spuntino pomeridiano per ricaricarsi e fare il pieno di zuccheri e vitamina C!


Meringues with lime curd and pistachios
da “The Kitchen Diaries III” di Nigel Slater
X 8 porzioni

Per le meringhe:
250 gr di zucchero semolato
6 albumi
1 cucchiaio di amido di mais
2 cucchiaini di aceto di vino bianco

Per il lime curd
2 lime
2 limoni
4 tuorli
100 gr di burro
100 gr di pistacchi salati (50 gr sgusciati)


Accendere il forno a 200 ° C . 
Versare lo zucchero su una teglia da forno in uno strato sottile e scaldarlo in forno per cinque minuti circa.
Versare gli albumi in una ciotola profonda, utilizzando se possibile quella della planetaria, e iniziare a montarli lentamente fino a quando non saranno bianchi e spumosi. Aggiungere lo zucchero agli albumi, un paio di cucchiai per volta, continuando a montare a velocità sostenuta per almeno cinque minuti fino a quando gli albumi non saranno lucidi e corposi. Mescolare alla meringa anche l'amido di mais e l'aceto. 
Foderare una teglia con carta da forno oppure ungerla leggermente e spolverala con un velo di farina. Utilizzando un grande cucchiaio da cucina (io ho usato il mestolo ma anche il porzionatore per gelato va benissimo) porziona la meringa formando sulla teglia otto cupolette, ciascuna delle dimensioni di un uovo d'oca. Cuocerle in forno, precedentemente preriscaldato, con lo sportello chiuso ad una temperatura di 140° C per trentacinque quaranta minuti, fino a quando esternamente non saranno croccanti. L'interno invece dove rimanere morbido con una consistenza simile a quella dei marshmallow. Lasciarle raffreddare sulla teglia poi, con l'aiuto di una spatola, trasferirle su una gratella a raffreddare.

Per il lime curd: grattugiare finemente la scorza dei lime e dei limoni e spremere il loro succo in una ciotola resistente al calore, quindi sistemarla su una pentola di acqua bollente per la cottura a bagnomaria. Tagliare il burro a pezzetti, e unirlo al succo e alla scorza degli agrumi mescolando per scioglierlo. Sbattere leggermente i tuorli d'uovo, quindi unire anche questi, un po' per volta al composto di succo di agrumi e burro, mescolando regolarmente. Lasciarlo addensare mescolando continuamente con un cucchiaio di legno per circa 20 minuti. Lasciare raffreddare completamente la crema di limoni affinché si rapprenda poi trasferirla in frigo.
Per servire, disporre le meringhe su piatti individuali o insieme su un piatto da portata. Schiacciarle leggermente al centro formando una cavità e colarvi all'interno il lime curd. Infine cospargere su ogni meringa una manciata di pistacchi precedentemente (sgusciati) tritati grossolanamente.


NOTE

- come ha già sottolineato Stefania, scaldare lo zucchero in forno prima di aggiungerlo agli albumi permette di ottenere una meringa lucida e più stabile senza troppi sforzi

- le porzioni sono generose e si ottengono con queste dosi 8 grandi meringhe, decisamente più grandi di un uovo d'oca, e lime curd sufficiente per ognuna. Ne basterà infatti solo qualche cucchiaio.

- Ho avuto alcuni problemi con la cottura delle meringhe e così ho dovuto rifarle. La prima volta seguendo pedissequamente le indicazioni del libro, una volta cotte, sono rimaste troppo molli e hanno assunto un colorito marroncino. La seconda volta ho abbassato leggermente la temperatura, allungando un poco i tempi di cottura e tutto è filato dritto. Ma questo è imputabile alle differenze di cottura e di calore tra un forno e l'altro. Insomma, come è successo a me, se non si conosce bene il proprio forno, è consigliabile fare una prova per testarlo trovando la giusta temperatura. Anche l'umidità potrebbe essere un fattore da tenere in considerazione.

- Anche se l'autore non lo dice i pistacchi vanno spellati prima di essere tritati. Per farlo basterà passarli qualche minuto in forno (o pochi secondi al micro onde) e successivamente strofinarli, ancora ben caldi, in un canovaccio pulito. In questo modo inoltre la leggera tostatura esalterà il loro sapore.

- Il lime curd è decisamente aspro, ma perfetto così per contrastare la dolcezza delle meringhe, quindi, anche se non amate questo genere di sapori, non provate ad aggiungere zucchero, sarebbe un sacrilegio!

La ricetta è decisamente PROMOSSA, mentre io mi boccio perchè dopo ormai 4 anni ancora fatico a capire il mio amato forno.


mercoledì 28 settembre 2016

APPLE AND STILTON DUMPLINGS



Chi l’ha detto che la cucina British non esiste? Tutti! Anche gli stessi britannici, parola del mio ex capo English.
In verità esiste eccome una cucina tradizionale che va ben oltre il canonico fish&chips o il roast beef, solo che abbiamo dovuto attendere Gordon Ramsey perché qualcuno ne parlasse. 
Oggi gli chefs britannici sono davvero tanti (ok non tantissimi) e molti di loro portano avanti la tradizione del cibo britannico, il più delle volte sconosciuto al grande pubblico, fatto di suet pudding, di black pudding (io magari su questo passo; si tratta di un sanguinaccio già pronto e rientra nella categoria dei salumi (!?)), di dolci da tè e di piatti della tradizione più locale (mi vengono in mente i cornish pastry per citarne uno).
Il fatto è che nel Regno Unito, notoriamente freddo, umido e piovoso, non cresce molto e pertanto ci si deve arrangiare con quello che c’è. Ed ecco che quindi molti piatti tipici sono fatti di pesce azzurro (aringhe in primo luogo) e i pochi formaggi prodotti non sono a pasta dura.
Certo un buon Extra Mature Cheddar non potrà mai competere con un più famoso Parmigiano, ma vi assicuro che ha il suo perché. E poi c’è lui, lo Stilton… una delizia erborinata che non si può descrivere se non invitandovi ad assaggiarlo, bsebbene in Italia non sia facile da trovare ed abbia un costo quasi proibitivo.
Nigel Slater in questo “The kitchen diary III – A year of good eating”, ci racconta la cucina di casa (sua) fatta di ingredienti locali, magari rielaborata con il gusto moderno ma sempre nel rispetto di una tradizione che… si, esiste! Believe it or not!

APPLE AND STILTON DUMPLINGS
Per il ripieno:
mele – 3 grandi (io Granny Smith)
acqua – 3 tablespoon
pasta sfoglia – approssimativamente 325 g (io Conad pronta rettangolare 2 confezioni)
stilton – 250 g
un uovo, battuto
semi di nigella

Sbucciare le mele e tagliatele in quatto, togliete il torsolo e tagliatele a tocchetti, quindi mettetele in una casseruola con l’acqua e sobbollite a fuoco moderato finchè non diventano morbide. Mescolate occasionalmente, quindi schiacciatele con una forchetta e mettetele da parte.
Tagliare la pasta a metà nel senso della lunghezza. Accendere il forno a 200°C/Gas 6. Stendete ciascun pezzo di pasta in un foglio largo, circa 32 cm quadrati, e mettetene uno da parte. Tagliare l’altro quadrato di pasta in otto quadrati, quindi divedere le mele tra essi, piazzando un cucchiaio pieno al centro di ciascun pezzo di pasta. Rompere lo Stilton in grandi pezzi e distribuirli nella pasta (i quadrati n.d.t.), piazzandolo in cima alle mele.
Spennellare un po’ dell’uovo sbattuto intorno al bordo di ciascun quadrato. Tagliare il secondo pezzo (foglio n.d.t.) di pasta in otto quadrati simili, quindi porli sopra la pasta riempita di mele e incollate accuratamente i bordi. Trasferite le paste (i fagottini n.d.t.) in una teglia da forno e spennellateli con un po’ di uovo sbattuto. Distribuite leggermente i semi di nigella e cuocete in forno per venti minuti, finchè diventano dorati/bruni. Servire tiepidi, con il sottaceto riportato di seguito. Ne vengono fuori 8.

ONION PICKLE
Cipolle rosse – 2
Limoni – 2
Zucchero semolato – 1 tablespoon
Aceto di vino bianco – 3 tablespoon
Chiodi di garofano – 5
Cannella – mezza stecca
Sultanina dorata – un pugno (io uva gigante del Cile, più chiara e più grossi i chicchi dell’uvetta classica)

Pelare e affettare le cipolle sottili, porle in una casseruola d’acciaio, o in un’altra casseruola non reattiva, con il succo dei limoni, lo zucchero semolato e l’aceto, quindi gettate dentro i chiodi di garofano e la cannella. Portare il mix all’ebollizione, abbassare la fiamma finchè non sobbolle, quindi coprire con un coperchio e continuare a cuocere per dieci minuti. Aggiungere l’uva sultanina dorata e mettere da parte finchè non si raffreddi.
  
NOTE
Come sempre comincio dalla traduzione ma solo per dire che il libro, essendo un diario, è scritto come tale pertanto, benchè sia facile e piacevole da leggere, a volte il linguaggio è un po’ troppo “parlato” e quindi non sempre traducibile alla lettera (vedi i numerosi n.d.t. nel testo della ricetta). Inoltre è ricco di annotazioni su eventuali sostituti degli ingredienti e considerazioni personali.
Una nota però va fatta sul taglio della pasta. Per l’esecuzione di questa ricetta vi consiglio due angeli custodi alle vostre spalle: da una parte un buon traduttore (per quanto detto sopra) e dall’altra un bravo geometra! Caro Nigel, ho studiato oltre un’ora per cercare di capire come fai a far venire otto quadrati da un foglio di pasta di 32 cm quadrati!! Ho persino ipotizzato che fossero pollici (magari nelle edizioni non destinate ai paesi anglosassoni è stata convertita solo l’unità di misura e non il numero… poco importa se un quadrato di 32 cm quadrati è poco più grande di un raviolo!!). Alla fine mi sono arresa alle MIE misure e ai MIEI calcoli, e quindi di fagottini ne è venuto fuori qualcuno di più dei tuoi 8. Ma non sarebbe stato più semplice scrivere la lunghezza del lato? 

Fatta questa precisazione, la ricetta è davvero semplice e il risultato ripaga enormemente il tempo speso a fare calcoli e disegni. Pensavo che il sapore forte e piccante dello Stilton (che io adoro… che novità!!) coprisse il resto e invece viene attutito dalla mela in una combinazione di sapori eccezionalmente delicata e saporita al tempo stesso… insomma sono eccezionali.
Una ulteriore precisazione: nella foto si vedono dei fagottini con i semi di nigella in due versioni in polvere (arrivati direttamente da Singapore ;-)) e interi; la differenza nel sapore è ovviamente nulla, ma i semi interi li trovo più coreografici.
Pertanto, secondo il mio al solito sindacabile (rifateli e provate a smentirmi ;-)) parere direi
PROMOSSA
Nigel, io però sono una prof. e in geometria non posso non rimandarti e settembre!!

Victoria (al secolo Marina)


martedì 27 settembre 2016

A SIMPLE FLATBREAD DOUGH, AND MORE


Di Nigel Slater e dei suoi Kitchen Diaries avevo già sentito molto parlare e il personaggio mi aveva sempre attirato in modo particolare, quindi scoprire che lo Starbooks di questo mese, a cui partecipo da Redoner, sarebbe stato dedicato proprio a lui mi ha fatto davvero molto piacere. E' stata, infatti, l'occasione giusta per scoprire lo stile di questo autore e per innamorarmi del suo A year of good eating, un testo che, per come è scritto e strutturato, reputo forse uno dei libri di cucina più belli tra quelli in mio possesso (se la batte, ovviamente, con quelli di Yotam!).

Dovendo scegliere una ricetta da testare per voi, la mia scelta è caduta su un genere che in questo periodo molto frenetico della mi esistenza, mi sta davvero risolvendo il problema di cosa preparare per cena avendo poco tempo e costantemente voglia di cose buone e sfiziose. Ho scelto, infatti, un flatbread farcito in due maniere: con fichi e gorgonzola e con polpa di melanzane al timo. 

Come spiega anche lo stesso Nigel, il flatebread è una pagnotta di pane sottile, da spezzare con le mani, da utilizzare per raccogliere sughi e condimenti dai piatti o per mangiare intingoli o salsine come l'hummus o lo tztatziki, tra le altre. In passato, la cottura avveniva direttamente sulla brace, mentre oggi possiamo utilizzare una piastra o un padella antiaderente ben calda. In pochi minuti, il flatbread sarà pronto per essere gustato.

Particolare simpatico: per la ricetta del pane, Nigel si rivolge a una vecchia conoscenza dello Starbooks, Paul Hollywood!

NB: in corsivo e in fondo i miei commenti

A SIMPLE FLATBREAD DOUGH 

Ingredienti per 12 pani

500 g di farina bianca da panificazione (forte)
8 g di sale fino
10 g di lievito secco attivo (per me 7 g)
180 g di burro (morbido)
300 ml circa di acqua

Procedimento

Scaldate una ciotola capiente bagnandola con dell'acqua molto calda, quindi asciugatela bene. Il calore aiuterà la pasta a dare il via alla lievitazione.
Mettete la farina nella ciotola insieme al sale e al lievito secco. 
Tagliate il burro a pezzetti e aggiungetelo alla farina, unendo anche 2/3 dell'acqua e impastando con le mani fino a che la pasta non inizia a prendere forma.
Aggiungete o meno il resto dell'acqua (o un po' di più) a seconda del bisogno, fino a ottenere un impasto morbido ma che può essere steso con facilità.
Trasferite l'impasto su un piano di lavoro leggermente infarinato e impastate a mano per 5-10 minuti, fino a ottenere una pasta liscia e setosa.
Riponetela nuovamente nella ciotola, copritela con un telo caldo e lasciate lievitare lontano da correnti d'aria per almeno un'ora, fino al raddoppio.
Trasferite nuovamente l'impasto sul piano di lavoro infarinato, lavoratelo nuovamente per far fuoriuscire l'aria e dividetelo, quindi, in 12 pezzi di uguale misura.
Formate delle palline.

FIG AND GORGONZOLA FLATBREADS

Utilizzate fichi ben maturi.

Ingredienti per 6 pani

3 fichi grandi, maturi
mezza dose dell'impasto di base
200 g di Gorgonzola
un po' di olio d'oliva (extravergine)

Procedimento

Tagliate i fichi in quattro parti. Create un incavo al centro di ogni pallina di impasto e inseriteci un pezzetto di fico e uno di Gorgonzola.
Pizzicate i bordi della pasta in modo da sigillare il ripieno. Procedere allo stesso modo con gli altri pezzi.
Posizionate la pallina di pasta sul piano di lavoro ben infarinato e stendetela col mattarello (io ho provato anche a stendere la pasta con le mani, cosa che vi consiglio) formano un disco o un ovale di circa 16 cm di diametro (a me sono venuti più piccolini).
Trasferite il pane su una teglia foderata di carta forno e procedete alla stessa maniera con gli altri pezzi.
Lasciare riposare i pani in un luogo caldo (forno spento con lucina accesa) per 10-15 minuti.
Scaldare una piastra o una padella dal fondo spesso su fiamma moderata. Spennellate con un po' d'olio e cuocete i pani, due o tre alla volta, per circa 3-4 minuti.
Quando iniziano a dorare, girateli e fateli cuocere dall'altro lato.
Qualche piccola bruciacchiatura è cosa buona ("A little blistering is good").
Togliete dal fuoco e servite subito.

AUBERGINE AND THYME FLATBREADS

Potete grigliare le melanzane invece che cuocerle in forno. La scelta è vostra.

Ingredienti per 6 pani

1 melanzana di medie dimensioni
olio d'oliva (extravergine)
qualche rametto di timo
mezza dose dell'impasto di base

Procedimento

Pre-riscaldate il forno a 200° C. Tagliate a metà, nel senso della lunghezza, le melanzane. 
Posizionate le due metà su una teglia da forno, con l'interno rivolto verso l'alto, e incidete dei tagli profondi nella polpa fin quasi ad arrivare alla buccia esterna.
Spennellate con l'olio e infornate per 25 minuti, o finché la melanzana non sarà morbida.
Sfornate e prelevate la polpa con un cucchiaio, trasferendola in una ciotola. 
Sminuzzate il timo e mischiatelo alla polpa di melanzana, salate e pepate.
Create un incavo al centro di ogni pallina di impasto e inseriteci due cucchiaini di ripieno. 
Pizzicate i bordi della pasta in modo da sigillare il ripieno. Procedere allo stesso modo con gli altri pezzi.
Procedete, quindi, seguendo le indicazioni riportate sopra. 

Note

- L'impasto di base è semplicissimo. Se avete tempo a disposizione, vi consiglio di ridurre drasticamente il lievito (1 g di lievito secco è più che sufficiente, o anche meno), allungando i tempi di lievitazione, così da ottenere un impasto più leggero.
- Il ripieno, inevitabilmente, schizzerà un pochino fuori dalla pasta nel momento in cui andrete a stenderla col mattarello (o con le mani, come ho fatto io). Guardando le foto di questi flatbreads sia sul libro che on-line, credo che l'effetto sia voluto, quindi non preoccupatevene troppo. Anzi, Nigel dice che il fatto che parte del ripieno vada a contatto con la piastra in cottura regalerà una nota affumicata molto piacevole. 
- L'autore suggerisce altri ripieni alternativi: mozzarella, paté di olive, funghi, formaggi molli tipo Fontina. 

Pur essendo una preparazione tutto sommato semplice, Slater spiega ogni passaggio con precisione e naturalezza, permettendo di ottenere un ottimo risultato. Le varianti di ripieno sono sfiziose ma semplicissime da realizzare. Per questo, non posso che affermare che per me questa ricetta è 
PROMOSSA

lunedì 26 settembre 2016

APPLE AND MAPLE SYRUP FOCACCIA


Quella di Nigel Slater è una "cucina sentimentale", lo abbiamo potuto appurare durante tutto questo mese. 
Sentimentale perché dettata dallo stato d'animo del momento, dal ritmo delle stagioni, dai ricordi che costantemente ritornano sul suo diario attraverso il racconto di profumi e sapori. 
Ma sentimentale anche per il suo modo di approcciare una ricetta, spiegarla e scriverla, come hanno già notato le altre Starbookers prima di me. 
Per dirla alla toscana,  è "a sentimento", dove le quantità o le procedure sono frutto di un'esperienza decennale così che la testa lascia fare tutto ai sensi, come accade alle mani delle nostra mamme che ripetono una ricetta ormai automaticamente senza mai sbagliare.
Un diario che si legge come un romanzo e la ricetta si inserisce nel contesto come un piccolo evento casuale che colora la trama. 
Il rapporto di Slater con i lievitati è di pura sperimentazione. 
Le focacce si arricchiscono con ingredienti avanzati in frigorifero sapientemente abbinati e il passaggio dal salato al dolce diventa automatico, come per questa focaccia, nata da un'intuizione e dal suo spassionato amore per le mele. 
Sfogliando il libro, non ho resistito all'idea di provare questa preparazione. 
Finisco sempre col cadere sui miei spauracchi, come una sfida da superare, ma se devo essere sincera, dopo i risultati delle mie amiche di avventura, ero certa che non avrei fallito. 
Una focaccia che celebra l'inizio dell'autunno, con una dolcezza che le arriva dalla frutta e dal delizioso sciroppo d'acero ma a cui nessuno toglie la possibilità di osare, farcendola con della freschissima mortadella come ha fatto il marito della sottoscritta. 
Premiandola con un bis! 

Ingredienti per una teglia da 28 cm di lato
450 g di farina forte
1 sacchetto di lievito secco (7 g)
1 cucchiaino di sale marino
1 cucchiaio di olio d'oliva (io extravergine)
1 cucchiaio di zucchero semolato
350 ml di acqua tiepida

Per il topping
3 grandi mele dolci (tipo Cox - io ho usato delle mese Gala)
150 g di noci pecan sbucciate
150 ml di Sciroppo d'Acero

Mettete la farina ed il lievito in una larga ciotola ed aggiungete il sale marino finemente macinato, lo zucchero e l'acqua tiepida.
Mescolate a fondo quindi rovesciate l'impasto su una superficie ben infarinata e impastate delicatamente per c.ca 5 minuti. Niente di buono viene dall'impastare troppo energicamente.
Non appena percepirete che l'impasto è elastico, mettetelo in una ciotola leggermente infarinata e coprite con un telo o la pellicola e lasciatelo lievitare in un luogo tiepido.
Una volta raddoppiato il volume, diciamo c.ca un'ora, premetelo gentilmente in basso con i polpastrelli, pressando un po' dell'aria fuori.
Private le mele del torsolo e tagliatele a pezzetti quindi aggiungetele all'impasto insieme alle noci pecans, lasciandone un po' per la superficie.
Sistemate l'impasto in una teglia di  28 cm.
Accendete il forno a 220° e coprite l'impasto sistemandolo nuovamente in un luogo tiepido a lievitare. Una volta cresciuta almeno del doppio, versate un filo d'olio sulla superficie (non ne servirà molto), spargete le rimanenti pecan e cuocete per 35/40 minuti, fino a che non sarà bella gonfia, bella dorata e croccante.
Toccandola, la sentirete elastica e soffice.  Versate con un cucchiaio lo sciroppo d'acero e lasciate che la focaccia lo assorba. Attendete un attimo prima di sformarla quindi fatela intiepidire su una griglia.
Per 6 - 8 persone.

NOTE PERSONALI

  • Pochissimo da dire ma una nota importante è sulla quantità di acqua. Qui abbiamo un'idratazione altissima, quasi dell'80%. Io consiglierei di non aggiungere l'intera quantità di acqua immediatamente, ma lasciarne c.ca 50 ml da integrare se la farina lo richiede. Io ho eseguito pedissequamente la ricetta utilizzano una farina di forza W330, ma al momento dell'impasto, il composto era estremamente appiccicoso, tale da non essere maneggiabile. Ho tentato di impastare per un po' ma notando che nulla cambiava, ho dovuto aggiungere un po' di farina, che mi ha aiutato a terminare il primo impasto. 
  • Se preparate la focaccia in giorni caldi come questo settembre, la quantità di lievito potrebbe essere diminuita, secondo me fino a 4 g, perché un impasto così idratato a queste temperature, lievita con facilità più o meno nello stesso tempo. Dalla foto della lievitazione, potete notare come si sia gonfiata sia nella prima che nella seconda fase. 
  • Nigel indica 3 mele grandi da inserire nell'impasto: io sono riuscita a infilarne 2 e già ho avuto difficoltà, perché queste sbucavano da tutte le parti, restando difficilmente imprigionate nella trama lievitata. Così la terza l'ho tenuta da parte e ci ho decorato la superficie.
  • Il mio errore assurdo, causato da un black out momentaneo del cervelletto, è stato inserire anacardi anziché pecan nella ricetta. Mica perché le pecan siano difficili da trovare, anzi, ma perché questa testa bacata in quel momento era convinta che i pecan fossero anacardi. Solo quando ho messo l'ultimo anacardo sulla focaccia,  mi si è accesa una luce ed un parola ha lampeggiato nel buio: "deficiente". 
  • E' meravigliosamente soffice, gustosa, semplice.  E' piacevole l'aroma dell'extravergine quando incontra quello dello sciroppo d'acero, il contrasto del sale. E' perfetta se mangiata tiepida e fredda, ma consumata nello stesso giorno. Si può farcire con facilità secondo la vostra fantasia. Se vi avanza, conviene surgelarla e farla rinvenire nel tostapane o con un veloce passaggio in forno. Assolutamente da rifare e rifare e rifare. 
PROMOSSA CON LODE. 


domenica 25 settembre 2016

COSTILLA DE CERDO A LA CERVEZA PER STARBOOKS REDONE DI SETTEMBRE 2016




Riceviamo e pubblichiamo volentieri un contributo per il Redone del mese da una lettrice senza blog.
Aspettiamo anche voi!
Ho acquistato il libro "Tapas Revolution", colpita dal titolo e dalla possibilità di creare piatti sfiziosi da "spiluccare" insieme agli amici.
Inutile dire che la scelta della prima ricetta da provare è caduta su questo costine meravigliose, "colpa" di una fotografia decisamente accattivante.

Inizio con la ricetta:
COSTILLA DE CERDO A LA CERVEZA
Per 4 persone come portata principale
Preparazione: 10 minuti
Tempo di cottura: 60/75 minuti.
Ingredienti:
50 ml olio di oliva
1,5 kg costine di maiale separate
1 cipolla spagnola tagliata grossolanamente (io ne ho usata una di cannara)
5 spicchi d'aglio non pelati
100 gr di chorizo (fresco o semi stagionato) tagliato grossolanamente
1 cucchiaino miele chiaro
100 gr di pancetta o bacon tagliata grossolanamente
1 cucchiaino di paprika dolce (io avevo solo quella affumicata)
1 foglia di alloro
4 rametti di timo
2/3 patate pelate e tagliate grossolanamente
330 ml di birra lager chiara a vostra scelta
pane per servire

 Procedimento:
Potete preparare questa ricetta in due differenti modi: cuocere tutto in un ampio tegame sul fornello oppure iniziare la cottura sul fornello e terminarla poi in forno preriscaldato a 180° .
Io ho scelto di iniziare e terminare la cottura sul fornello.
Versare l'olio di oliva nel tegame e far rosolare le costine per circa 5 minuti.
Una volta ben rosolate aggiungere cipolla, spicchi di aglio, chorizo e pancetta e cuocere per alcuni minuti fino a doratura e inizio caramellizzazione. Aggiungere miele, paprika dolce, foglia di alloro, timo e patate; cuocere e  mescolare per altri tre minuti.
A questo punto aggiungere la birra e continuare la cottura per 45 minuti oppure in forno preriscaldato per 1 ora.

Servire da sole o con pane per la scarpetta :)

NOTE

Come già detto prima, ho scelto questa ricetta perchè sono rimasta incantata dalla foto, ho scelto di prepararla nonostante il mio compagno sia TOTALMENTE ASTEMIO, non ami molto le costine e sia piuttosto ostile a qualunque tipo di nuova ricetta, figuriamoci se prevede carne cotta nella birra!
L' esecuzione è stata semplice e la ricetta mi è sembrata abbastanza chiara.
Essendo solamente in due ho dimezzato tutte le dosi e sono risultate perfette.
Io non posso che PROMUOVERLA, i sapori si amalgamano alla perfezione e il mio compagno ha mangiato una piatto contenente paprika, miele, timo, chorizo, e soprattutto birra senza battere ciglio!
Dimenticavo, abbiamo fatto abbondante scarpetta con lo spendido ma un pò troppo unto sughetto. Unico consiglio: non cuocere a fiamma troppo alta.

Elena C.

TORTA ALLE PERE E MANDORLE CON STREUSEL PER STARBOOK REDONE DI SETTEMBRE 2016







Riceviamo e pubblichiamo la ricetta di una lettrice senza blog per il Redone di questo mese.
E voi, cosa aspettate? :)



Sono Veronica, non ho un blog per cui vi spedisco testo e ricetta per partecipare al Redone di Settembre.

Torta alle pere e mandorle con streusel
Delia's Cake di Delia Smith


Ingredienti
per una tortiera tonda da 20 cm

110 gr di farina autolievitante
1 cucchiaino di lievito per dolci
50 gr di burro morbido
50 gr di zucchero di canna
50 gr di mandorle tritate (ho usato la farina di mandorle)
1 uovo grande
qualche goccia di estratto di mandorle
1 pizzico di sale
3 cucchiai di latte
2 pere mature, tagliate in quarti, ogni quarto tagliato in tre fette

Per lo streusel

50 gr di burro fuso
75 gr di farina autolievitante
50 gr di zucchero Demerara ( non trovandolo ho utilizzato un normale zucchero di canna)
40 gr di mandorle a lamelle
zucchero a velo per servire


Accendere il forno a 200 gradi. Foderare il fondo di una tortiera tonda a fondo amovibile con la carta forno e imburrarlo.
Setacciare la farina e il lievito in una ciotola capiente avendo cura di tenere alto il setaccio, in modo che la farina si arieggi, aggiungere quindi tutti gli altri ingredienti ad eccezione delle pere.
Con lo sbattitore (io ho usato la planetaria con il gancio a foglia) montare per circa un minuto per ottenere un impasto cremoso.
Versare il composto a cucchiaiate nello stampo e livellare con il dorso di un cucchiaio.
Disporre le pere in circolo riempiendo anche il centro.
Preparare lo streusel, mischiare in una ciotola la farina e lo zucchero e aggiungere il burro fuso, formare delle briciole aiutandosi con una forchetta. Aggiungere le mandorle e cospargere sulla superficie della torta e infornare per 45 minuti. (Dopo circa 20 minuti ho applicato un foglio di carta stagnola per evitare che la superficie della torta si bruciasse)
Far raffreddare 20 minuti, appoggiare la teglia su un barattolo e aprire il gancio lasciando scivolare in basso l'anello.
Con l'aiuto di una paletta far scivolare la torta su una gratella fino a completo raffreddamento.
Prima di servire cospargere con zucchero a velo.
Una mia personale aggiunta è stata servirla con la salsa al cioccolato milleusi di Arabafelice, pere e cioccolato si sposano benissimo.

Considerazioni:

Lo streusel con il burro fuso mi ha piacevolmente colpito,a mio parere il burro fuso fa in modo che la farina e lo zucchero si amalgamino meglio, inoltre è molto più semplice e pratico!
La torta è ottima, permette di fare bella figura con poco sforzo. E' adatta anche a cuochi non esperti perché il procedimento è ben spiegato e le dosi sono corrette.
Il croccante dello streusel e le pere che si sciolgono in bocca creano un connubio perfetto!
La ricetta quindi è assolutamente PROMOSSA!

p.s. Nella foto manca lo zucchero a velo ma dovevo trasportarla e non avevo modo di fotografarla prima del taglio ;)

Veronica R.

venerdì 23 settembre 2016

A LITTLE STIR-FRY OF SQUID AND PEPPER




Due premesse.
La prima e' che amo Nigel Slater sopra ogni cosa e non esisterei a chiedergli di sposarmi subito, anche senza l'opzione "in cucina ci pensi tu". Acquisto regolarmente i suoi libri da almeno 15 anni, il mio archivio on line trabocca di link a sue ricette, ho persino comprato un comodino per tenerci sopra la sua autobiografia. Di lui mi piacciono la pacatezza, la capacita' di vedere il bello della vita attorno a noi, senza binocoli che ci proiettano nello spazio e nel tempo e, quel che piu' conta, di farlo con quell'umorismo sottile che rende fascinoso e irresistibile quello che altrimenti sarebbe un sublime stracciamento di maroni. 

La seconda, e' che questo piatto e' finito dritto nella rumenta. 

Ma andiamo con ordine. 

Da quando vivo qui, il problema piu' grosso nella gestione domestica riguarda il fare la spesa, in primis, e il cucinare, in secundis. Vivo nella societa' che piu' di ogni altra ha mantenuto viva la cultura del cibo di strada, anche con un programma politico capillare, per cui nelle "case del popolo" il locale per cucinare  e' uno sputo, perche' intanto negli spazi comuni trovi di certo un food court o un posto dove condividere con gli altri il tuo cibo. 
Nello stesso tempo, la vertiginosa ascesa economica di Singapore ha implicato anche il mettersi al passo con gli standar occidentali del consumismo piu' estremo: il che significa che non si fa un passo senza incontrare un gigantesco centro commerciale, all'interno dei quali si trovano i piu' forniti supermercati. Tutti con la food court di fianco, naturalmente. 

Le forniture, pero', non devono trarre in inganno. 
Perche', per quanti punti vendita ci siano, per quante fasce di reddito esistano, per quante razze e culture diverse si forniscano in questo o in quello, la qualita' dei prodotti freschi resta sempre identica. 
"identico" non significa "buono" o "cattivo".
Qui non hanno i nostri parametri di valutazione: non esiste la tracciabilita' come la intendiamo noi, non esiste la stagionalita' (paradossalmente, e' piu' facile che ne abbiano il concetto astratto), non esiste la filiera, non esiste praticamente nulla che tuteli il consumatore dalle insidie che si possono nascondere dietro un prodotto. 
Io non lo so da che mare provenga il pesce che compro, per esempio. Non lo so per quale ragione ci sia scritto "organic" su limoni coperti da uno strato di cera. Non so perche' nell bottiglia del latto "fresco di fattoria" ci sia l'etichetta con gli ingredienti, perche' il primo componente dello yogurt sia la panna, perche' non riesca a trovare un uovo che sia un uovo, senza essere "privo" o "con aggiunta di". 
E, quel che e' peggio, non so che cosa succedera' alla mia spesa, un volta che iniziero' a cucinare. 
I primi tempi, volevo morire. 
Non c'era niente, ma niente ma niente che riuscisse. 
Mi ero circondata di prodotti italiani, li utilizzavo allo stesso identico modo di prima e mi ritrovavo a piangere sui risultati. E' stato solo quando mi sono rassegnata al non avere piu' la vita di prima che ho capito che, se volevo mangiare qualcosa di commestibile, dovevo adattare anche la mia cucina a qualcosa che non avrei avuto piu': clima e tasso di umidita', sopra ogni cosa. 

Ora cucino, tutti i santi giorni, forse anche piu' che a casa.
E non mi lamento, di quello che produco, anzi: visto che mi impegno di piu', in certi casi la soddifazione e' maggiore. 
Ma non posso seguire alla lettera le ricette. 
Perche' se lo faccio, mi succede come stavolta: un piatto fenomenale (mio marito lo ha assaggiato durante la preparazione e alla terza prova si e' anche presentato col pezzetto di pane), finito nella spazzatura perche' rovinato da una cottura eccessiva e da ingredienti esageratamente profumati. 
Ve lo racconto nelle note, mentre di seguito vi metto la ricetta




UNA PICCOLA FRITTURA DI CALAMARI E PEPERONI

Chiedete al pescivendolo di prepararvi i calamari, pulendoli bene e rimuovendo le sacche con l'inchiostro nero. Dovrete comunque lavarli velocemente, una volta arrivati a casa. Se non vi piacciono i calamari, questa ricetta funziona anche con i gamberi. Il coriandolo e' assolutamente facoltativo, qui

300 g di calamari, al netto degli scarti
un peperone rosso o arancione, grande
2 spicchi d'aglio
2 scalogni medi
25 g di zenzero fresco
2 cucchiai di olio di semi di arachidi o colza
1 cucchiaino di pepe di Szechuan
8 grani di pepe nero
olio di sesamo
un lime
un po' di coriandolo - facoltativo

"Ravanare" (come si dice in italiano???) nei calamari, pulendoli ed eliminando qualsiasi residuo possa essere stato lasciato dal pescivendolo. Tagliare il corpo ad anelli e sminuzzare i tentacoli in pezzetti regolari.
Tagliare a meta' il peperone, privarlo della parte bianca e dei semi e affettare sottilmente ogni meta'. Sbucciare lo zenzero e tagliare la polpa a fiammifero.
Scaldare l'olio in un wok. Aggiungere il peperone, ruotando la padella ogni tanto, fino a quando non si ammorbidira', poi aggiungete l'aglio, gli scalogni e lo zenzero. Friggete e mescolate fino a quando gli scalogni saranno dorati, poi schiacciate e unite le bacche di Sze chuan e i grani di pepe, una bella spolverata di sale e i calamari. Friggete per un minuto o due, fino a quando i calamari saranno opachi, poi versate l'olio di sesamo, il succo di lime e, se lo desiderate, un po' di coriandolo tritato. Servite immediatamente.
Per 2 persone, piatto principale

Note mie
Ho usato un peperone rosso, che non voleva saperne di diventare morbido e tenero. Morale, ha cotto ben piu' del tempo indicato dalla ricetta, finendo per rammollirsi nella sua acqua, creando una specie di pappetta che mi son portata dietro per tutta la preparazione.E il stir-fry e' andato a farsi benedire. 
Un cucchiaino di pepe di Sze chuan qui equivale a mangiare pepe limonoso e basta, non solo in questo piatto, ma anche per i tre pasti successivi, come minimo. Ho cambiato fornitore, credevo di saperlo gestire con un po' piu' di oculatezza, ho fatto un disastro totale. 
Il resto e' andato tutto secondo copione, a parte forse un po' piu' di tempo di cottura per i calamari. Ma ormai, il danno era fatto- ed e' in parte visibile anche nella cremina che vedete in foto. 
Questo non deve essere un piatto cremoso, ma un po' slegato, come sono tutte le stir-fry che si rispettino. 
Tuttavia, sono sicura che quando riprovero' (perche' riprovero', senza indugio), verra' fuori un signor piatto. Veloce, insolito, intrigante, come lo sono tutte le ricette di Slater. Per cui, in piena onesta', boccio la sottoscritta (che almeno il pepe doveva assaggiarlo ) e decreto questa ricetta 

PROMOSSA

giovedì 22 settembre 2016

DAL AND PUMPKIN SOUP


Per il Tomato Curry avevo trovato, pur non avendone bisogno, un video in cui il nostro Nigel lo cucinava. Per la ricetta che vi presento oggi invece, l'ho cercato invano senza trovarlo.
Se vi chiedete perché l'ho cercato, la risposta è tutta nelle abitudini mentali e culinarie della sottoscritta: ho riletto la ricetta 4 o 5 volte per capirla, e non perché abbia disimparato l'inglese all'improvviso, bensì perché sono abituata a concepire le zuppe, specialmente quelle di legumi, comprensive di soffritto.

Qui invece leggevo e mi dicevo: possibile che mi faccia cuocere la cipolla a secco, poi mi ci faccia aggiungere l'aglio e lo zenzero, infine mi faccia unire le lenticchie per insaporirle, il tutto senza nemmeno un filo d'olio? Possibilissimo, perché la fiamma me la faceva accendere solo dopo avere aggiunto l'acqua! Il motivo per cui elencava a una a una le operazioni da effettuare è quello che ho già detto introducendo il Tomato Curry: Slater prepara gli ingredienti a mano a mano che cucina, quindi indica pedissequamente il procedimento che segue nella preparazione dei piatti.

Compreso infine con sollievo che non era richiesta tostatura a secco e che non si era dimenticato di citare l'olio, ho proceduto e constatato che, al pari del curry di pomodoro, anche questa ricetta è di una facilità disarmante, e quindi perfetta anche per i principianti: non per nulla Slater è stato lo Chef che ha sdoganato la buona cucina di casa al pubblico britannico, abituato per lo più a ricorrere a surgelati e scatolette per risolvere la cena.

Il risultato è una saporitissima zuppa speziata piuttosto leggera, a cui la guarnizione di cipolle e peperoncino regala una spinta in più.

Tra parentesi e in corsivo le mie poche modifiche.

DAL AND PUMPKIN SOUP - ZUPPA DI LENTICCHIE DECORTICATE E ZUCCA
Da: Nigel Slater - A Year in the Kitchen - Kitchen Diaries III

Per 4 porzioni abbondanti:

1 piccola cipolla
2 spicchi d'aglio
1 pezzetto di zenzero grosso come una noce
225 g di lenticchie rosse decorticate (io 250... per finire il pacchetto!)
1 cucchiaino di curcuma in polvere
1 cucchiaino di peperoncino in polvere
1 mazzetto di coriandolo tritato grossolanamente (io prezzemolo, perché mi è morto il coriandolo)
250 g di zucca

Per guarnire:

2 cipolle medie
2 cucchiai di olio di semi di arachidi (io extravergine di oliva)
2 peperoncini piccanti piccoli
2 spicchi d'aglio

Pelare la cipolla e tritarla grossolanamente.
Pelare e schiacciare l'aglio e metterlo insieme alla cipolla in una pentola di medie dimensioni, dal fondo spesso.
Sbucciare lo zenzero, tagliarlo a fettine sottili e aggiungerlo.
Unire le lenticchie e versare un litro e mezzo di acqua fredda.
Portare a bollore, poi abbassare la fiamma facendo sobbollire la zuppa vivacemente (an enthusiastic simmer, dice Slater). Aggiungere la curcuma e il peperoncino, mescolare, coprire con un coperchio e far cuocere per 20 minuti.

Mentre la zuppa si sta cuocendo, portare a ebollizione dell'acqua in un'altra pentola.
Mondare la zucca ed eliminare i semi e la parte fibrosa che li contiene, poi tagliare la polpa a grossi dadi e buttarli nell'acqua bollente, lessandoli per 10 minuti: devono essere abbastanza teneri da poter essere infilzati da uno stecchino senza troppa fatica. Scolare e tenere da parte.

Preparare la guarnizione: pelare le cipolle e affettarle sottilmente ad anelli. Cuocerle in padella nell'olio finché iniziano a colorirsi.
Tagliare i peperoncini a metà, eliminare i semi e affettarli finemente.
Pelare e affettare sottilmente gli spicchi d'aglio (io ho eliminato il germoglio dalle fettine, è una mia fissa) e unirli alle cipolle, insieme ai peperoncini.
Proseguire la cottura finché le cipolle non abbiano assunto un bel colore dorato.
Tenere da parte.

Togliere il coperchio dalla pentola di cottura delle lenticchie e alzare la fiamma, facendo bollire fortemente per cinque minuti. Togliere la pentola dal fuoco, unire i dadi di zucca e passare tutto al frullatore, poco per volta per sicurezza (io ho usato il frullatore a immersione, direttamente nella pentola) fino a ottenere una crema liscia. Versare nella zuppiera, aggiungere il coriandolo tritato e regolare di sale. Secondo me (è Slater che parla) questa zuppa è migliore con una quantità di sale più generosa del solito.
Servire nelle fondine con una cucchiaiata di guarnizione alle cipolle.

OSSERVAZIONI

La zuppa è semplicissima da preparare e anche piuttosto veloce: nel giro di mezz'ora è pronta in tavola.

L'equilibrio delle spezie è semplicemente perfetto: è poco piccante e il grosso della piccantezza viene essenzialmente dal peperoncino nella guarnizione: quello che cuoce con la zuppa, insieme allo zenzero, si sentono poco e si amalgamano alla perfezione all'insieme.

La zuppa viene piuttosto liquida: pur avendo usato una quantità di lenticchie leggermente superiore per finire il pacchetto, e pur avendo effettuato l'intera cottura a pentola scoperta, non si è addensata a sufficienza e la guarnizione tendeva ad affondare. Forse un litro e mezzo d acqua è un po' troppa, 200 ml in meno sarebbero andati bene. O forse dipende dalla qualità delle lenticchie, non saprei.

L'insieme però è estremamente gradevole ed è perfetto per scaldare le sere autunnali.

Per me questa ricetta è assolutamente

PROMOSSA

mercoledì 21 settembre 2016

BETROOT LEAF SAUTÉ

Pakoras

Ricetta semplicissima, che mi ha incuriosito subito per l'abbinamento fra barbabietole e ceci, al quale non avrei pensato. Alla fine ho pure rischiato di non farla, perché non trovavo le barbabietole con le foglie.
Poi ieri, al mercato, tornando da scuola, l'agnitio: un bel mazzo di piccole barbabietole fogliute che sembrava stesse lì apposta per me. Potevo sottrarmi? Perfetta per questo periodo di quasi dieta a cui mi sto faticosamente sottoponendo, che più che una dieta è un tentativo di migliorare le mie abitudini alimentari, e una ricetta come questa, a base di legumi e ortaggi rappresenta davvero un pasto completo, salutare ma per niente noioso.
Il tutto è semplicissimo, e piace il fatto che si faccia in mezz'ora, una cosa in fila a quell'altra, senza perdite di tempo, proprio come descritto da Slater nel libro.
Praticamente una ricetta perfetta per quando uno torna dal lavoro e deve preparare in fretta alla cena.
... Sempre che abbia trovato le barbabietole con le foglie al mercato :-)

Beetroot leaf sautè

Beetroot leaf sauté 
Ingredienti (Per 4-6 persone)
2 patate farinose grandi
3 cucchiai di olio (extravergine) di oliva
2 carote
2 spicchi d'aglio
una scatola da 400 g di ceci
50 g di coste di barbabietola
150 g di foglie di barbabietola
1 piccolo limone
1 piccola manciata di menta

Tagliate le patate a metà e quindi a piccoli cubetti. Secondo me non è necessario pelarle. Versate l'olio in una grande padella anti-aderente, unite le patate a cubetti e farle cuocere a caolore moderato. Pelate le carote, tagliatele a cubetti della stessa dimensione delle patate e unitele alle patate. Pelate e tritate finemente l'aglio, unitelo alle patate e carote, salate e impepate e continuare a cuocere, mescolando di tanto in tanto, fin quando le verdure cominciano ad ammorbidirsi. Scolate i ceci e rovesciati nella padella. Fateli andare per una decina di minuti, nel frattempo tagliate le coste delle barbabietole a piccole pezzi, quindi trasferitele in padella. Arrotolate le foglie di barbabietola in piccoli cilindretti (stile sigari), tagliateli e uniteli alle altre verdure. Strizzate il limone, tritate le foglie di mente, mescolate e servite.

NOTE
Delle ricette di Slater, e questa non fa eccezione, mi colpisce l'uso ragionato delle spezie. Questa non fa eccezione: semplicemente non ci sono (sebbene limone + ceci ci trasporti subito in Medio Oriente), mentre predomina nettamente il sapor dell'aglio, che però si compensa molto bene con la menta e il limone, che lo sanno tenere a bada.   I profumi speziati ci piacciono, sicuramente, ma non è che proprio si debbano mettere tutte-le-volte-tutte, ogni tanto se ne può fare a meno e fare delle scelte diverse. Ecco, Slater così fa, e io lo trovo apprezzabile.

I tempi sono perfetti, si procede in fila, un passaggio dopo l'altro, in modo lineare, e alla fine ci si cava in una mezz'ora.

L'effetto complessivo del piatto, fra sapori e consistenze, è piacevole, anche una piccola perplessità sull'uso delle foglie di barbabietola mi reta. E il limone, che solitamente mi piace molto quando viene abbinato ai ceci, in questo caso va veramente usato con moderazione -cosa che io non ho fatto- altrimenti finisce per fare l'asso pigliatutto in modo troppo aggressivo ed egocentrico.

Insomma, mi è piaciuto ma non mi ha entusiasmato, anche se non trovo qualcosa di preciso che non vada: è questione di gusto, più che altro, qundi mi sento di promuoverlo comunque, anche perché è davvero un piatto interessante e completo, che può risolvere molto bene un pranzo veloce.

PROMOSSA 

Editing post commento della Mapi: 
- la nota sullo sbucciare le patate è di Slater, non mia. Così poco mia che le ho sbucciate inserendo il pilota automatico.
- Per quanto riguarda i ceci, volevo precisare che se ci si lessano da noi, invece che comprare quelli in scatola, è decisamente meglio, anche se talvolta capita di ridursi all'ultimo momento. Però quelli lessati da noi sono troppo più buoni. 
 



martedì 20 settembre 2016

CARROT AND CARDAMOM SOUP, RICOTTA DUMPLINGS




L'età adulta mi ha portato in dono, oltre agli acciacchi, l'amore per alcune preparazioni che, da bambina o da ragazza, non potevo neanche vedere da lontano... una di queste sono le zuppe! E questa di Nigel Slater, arricchita da degli gnocchi di ricotta diversi dal solito, aveva attirato subito la mia attenzione fin dalla prima lettura!


Carrot and Cardamom Soup, Ricotta Dumplings
da The Kitchen Diaries III di Nigel Slater


Carote, sedano, cipolla, foglie d'alloro, pepe, cardamomo, brodo vegetale, farina, farina d'avena, lievito, burro, ricotta, prezzemolo, crescione, timo

Pelare e tritare grossolanamente 400g di carote. Tritare grossolanamente anche 2 gambi di sedano e una cipolla. Mettere tutto in una padella profonda insieme a due cucchiai di olio d'oliva (extravergine) e cuocere per 10 minuti a fuoco moderato. Unire 2 foglie d'alloro, 6 grani di pepe nero e i semi estratti e macinati di 6 capsule di cardamomo. Unire anche un pizzico di sale e un litro di brodo vegetale o acqua. Portare a bollore, abbassare il fuoco e lasciar sobbollire per 15-20 minuti, o finché le carote saranno morbide. Frullare le verdure o passarle al mixer, fino ad ottenere una crema abbastanza liscia. 
Per preparare gli gnocchi, mettere 70g di farina bianca e 70g di farina d'avena macinata fine in una ciotola con un cucchiaino da tè di lievito in polvere (quello per torte saltate a lievitazione istantanea va bene), e due pizzichi abbondanti di sale. Con la punta delle dita, amalgamare 75g di burro alle farine, finché l'impasto non somiglierà al pangrattato (io ho tagliato il burro a pezzetti), poi unire 200g di ricotta. Frullare 30g di erbe con 3 cucchiai d'acqua fino ad ottenere un composto non troppo fine. Slater consiglia di utilizzare prezzemolo e crescione in uguale quantità, più una manciata di foglie di timo (io ho utilizzato il basilico al posto del crescione, che non ho trovato). Unire le erbe al composto, regolare di sale e pepe quindi formare 12 palline.
Portare la zuppa a bollore, verificando che non sia troppo densa e, se necessario, unire altro bordo. Lasciar scivolare gli gnocchi nella zuppa e cuocere per 15-20 minuti, coperto. Servire in ciotole poco profonde.

Gli gnocchi devono essere cotti subito dopo la loro preparazione.
Per un gusto più intenso, sarebbe meglio utilizzare delle carote nel pieno del raccolto, evitando quelle piccole primaverili.

Si possono cambiare le erbe dei dumplings secondo quello che si ha a disposizione. Sia il basilico che il dragoncello vanno bene, ma è meglio evitare il rosmarino. Per dare un gusto più pronunciato, si possono aggiungere un paio di cucchiai di Parmigiano grattugiato.


Note personali

La preparazione è di semplice esecuzione e ben spiegata, anche se l'autore dà alcuni passaggi (peraltro intuitivi) per scontati. Il risultato finale è veramente molto buono, tanto che la zuppa è stata molto gradita anche da mio marito, che non è un grande amante delle carote. Sull'apprezzamento da parte della cucciola di casa, invece, nutrivo pochi dubbi,,, :)

I sapori risultano ben bilanciati, il cardamomo si sente il giusto e si sposa molto bene con il sapore delle carote. Slater non dice di eliminare l'alloro prima di frullare le verdure. Io l'ho fatto perché non l'avrei certamente gradito. Ho frullato solo 3 grani di pepe, visto che la zuppa era destinata alla cena di tutta la famiglia, bimba compresa. Io e mio marito abbiamo poi aggiunto altro pepe.

Per facilitare la formatura degli gnocchi di questo tipo, che risultano abbastanza umidi e appiccicosi, io seguo due strade: formo delle quenelle con due cucchiai inumiditi, oppure mi inumidisco le mani prima di dar la forma allo gnocco.

Trovo che questa preparazione possa essere servita anche in una cena formale, riducendo le dimensioni delle palline, ma anche in una cena in piedi, servita a piccole dosi, sarebbe perfetta.
Ho già in mente alcune varianti, come l'aggiunta dello zenzero alla crema.

La ricetta è decisamente:

 PROMOSSA

lunedì 19 settembre 2016

WALNUT MERINGUE WITH APPLES AND CUSTARD


Come ho già detto per altri libri, è mia personale debolezza esplorare subito la sezione dolci.
La golosa patentata che è in me è sempre alla ricerca di qualcosa che incuriosisca insieme a solleticare il palato.
Qui con i sapori andavo sul sicuro, ma mi interessava questa crema così poco dolce in un contesto dove di solito si trova la panna montata non dolcificata.
Sarebbe stato passabile, buono, eccezionale o niente di che?
E amor di scienza ha imposto una prova ;)


WALNUT MERINGUE WITH APPLES AND CUSTARD
per 6 persone

per la meringa

250 g di zucchero semolato finissimo
6 albumi
un cucchiaio di amido di mais
2 cucchiaini di aceto di vino bianco
50 g di gherigli di noce

per la crema

600 ml di latte
una bacca di vaniglia
6 tuorli
50 g di zucchero semolato finissimo
2 cucchiai di amido di mais

per le mele

500g di mele dolci
50 g di burro
una manciata di mandorle a lamelle


Versare il latte in un pentolino antiaderente ed aggiungervi la bacca di vaniglia tagliata a metà ed i semini che saranno stati prelevati a parte con la punta di un coltello.
Portare quasi ad ebollizione quindi spegnere il fuoco e lasciare da parte.
Mischiare i tuorli con lo zucchero usando un cucchiaio di legno quindi unire l'amido. Versare il latte ormai tiepido sul composto di tuorli sempre mescolando, quindi rimettere il tutto su fuoco moderato e, girando sempre, aspettare che la crema ispessisca.
Versarla quindi in una ciotola ed aspettare che sia abbastanza fredda per poter andare in frigo, dove addenserà ulteriormente.

Intanto preriscaldare il forno a 200 gradi.
Versare lo zucchero per la meringa in una teglia in uno strato sottile e metterlo in forno per circa cinque minuti, per scaldarlo.
Intanto versare gli albumi in una ciotola abbastanza profonda e cominciare a montarli usando uno sbattitore elettrico o una planetaria. Quando saranno gonfi e spumosi unire lo zucchero scaldato, un cucchiaio alla volta e continuare montare con le fruste a velocità elevata.
Continuare a montare per circa cinque minuti quando tutto lo zucchero sarà stato unito, finchè la meringa sarà lucida e manterrà la forma.
Unire quindi l'aceto e l'amido.

Mentre gli albumi montano tostare le noci in un padellino finchè la pelle scurisce, quindi strofinarle con un canovaccio per eliminare parte della pelle. Rimetterle quindi nel padellino per tostarle ulteriormente, facendo attenzione a non bruciarle. Tritarle grossolanamente.
Unirle quindi alla meringa ormai pronta e versarla in una teglia rettangolare circa 32 cm per 22 cm foderata con carta forno, appiattendola in modo da ottenere un rettangolo abbastanza uniforme.
Metterla in forno ed immediatamente abbassare la temperatura a 140 gradi.
Cuocere per 45 minuti, finchè l'esterno risulterà croccante ma l'interno ancora morbido (marshmarmelloso, dice Slater, e rende l'idea). Lasciar raffreddare.

Preparare quindi le mele togliendo il torsolo ed affettandole sottilmente.
Cuocerle nel burro finchè saranno morbide ma non sfatte.
Tostare le mandorle.
Quando la meringa è fredda usando un cucchiaio formare sei piccole cavità nella meringa che andranno riempite con la crema fredda. Completare con le mele tiepide e spolverizzare con le mandorle a lamelle tostate.


NOTE

- la preparazione sembra indaginosa ma in realtà i passaggi sono tutti semplicissimi e Slater ne spiega la naturale sequenza cronologica, per cui in realtà ci vuole molto meno di quel che sembri.

- il passaggio in forno dello zucchero è spesso usato dai pasticcieri per eliminare eventuale umidità residua e favorire una meringa più stabile.

- la crema è in effetti molto poco dolce, ma proprio poco. E quindi assolutamente perfetta con la dolcezza della meringa, ma più interessante della "solita" panna montata.

- il passaggio di spellare le noci è alla fine l'unico che persino Slater definisca veramente noioso, ed aggiungo "time-consuming", ovvero fa perdere un sacco di tempo. Ma le noci ovviamente ci guadagnano in sapore.

- le mele richieste dalla ricette sono di tipo dolce.
Faccio ammenda ed ammetto di aver usato le Granny Smith ma non per pura disobbedienza, ma perchè se vivete in un paesino sperduto tra la Mecca e la Medina nei giorni della sacra festa del sacrificio, ovvero in una settimana in cui è come se fosse ogni giorno Natale per noi, è già un miracolo che si riesca a reperirne tre di numero. E non si va tanto per il sottile sulla qualità. Ed a proposito di Natale, questa ricetta è segnata al 26 di Dicembre...

- Slater raccomanda l'uso di una planetaria per montare gli albumi, in effetti il volume della meringa montata è tale che delle normali fruste elettriche farebbero fatica. Ma sicuramente funzionano lo stesso.

- in questo dolce è l'insieme che fa il miracolo. La meringa da sola è, appunto, una meringa con le noci dentro,  la crema non particolarmente dolce e le mele...solo delle mele ripassate. Mettete tutto insieme e poi ne riparliamo.

- Quindi nessuna difficoltà, nessun ingrediente strano, nessuna omissione nelle indicazioni nonostante lui stesso ne sia spesso parco, dando diversi passaggi per scontato.

La ricetta è quindi assolutamente 

PROMOSSA

venerdì 16 settembre 2016

A TOMATO CURRY


"Slater imbocca da subito la via della scrittura, consapevole di non essere altro che un appassionato di cucina- e, per giunta, di una cucina casalinga,domestica e quotidiana. La sua non è la missione di chi vuole cambiare le sorti del mondo, firmando proclami e sbandierando invenzioni: semmai, è il dar voce ad un amore sincero e profondo per quello che lo circonda, dalle mele del frutteto di casa al profumo dello stufato che sobbolle sul fuoco", scrive Alessandra presentando il libro del mese, e io non potrei essere più d'accordo.
I Kitchen Diaries sono un godibilissimo diario in cui Slater racconta il suo anno culinario nel susseguirsi dei giorni e delle stagioni.
La ricetta che ho scelto è del mese di settembre, e nell'introduzione lui dice che sono arrivati i primi freddi, il vento rovescia i vasi di rosmarino e la pioggia sferza i vetri e lui ha una gran voglia di curry. I pomodori sembrano estranei al mondo di cumino, zenzero e curcuma, tuttavia la loro dolcezza-asprezza dona una nota in più al curry, portando freschezza e vitalità al calore della salsa. In questo video Slater prepara questo semplice e gustoso curry dal vivo, spiegando la funzione che ogni ingrediente svolge nel crearne l'alchimia di sapori.

E di alchimia di sapori si tratta, in effetti: ho scelto questa ricetta perché ero molto incuriosita dall'insolito abbinamento di spezie e pomodoro. Il risultato non mi ha certo delusa.

A differenza di tutti gli altri autori Inglesi e Americani, che presentano una lista di ingredienti già mondati e pronti per essere cucinati, Slater li presenta all'italiana, "nudi e crudi", e li prepara al momento di cucinare il piatto. Si tratta sicuramente di un modo di cucinare più "andante", quasi casalingo: è esattamente il modo in cui cucino io, anche quando la lista degli ingredienti è presentata con questi già mondati e tagliati. Sarà per questo che mi sono sentita subito così a mio agio con questo libro?

Tra parentesi e in corsivo le mie (poche) variazioni.

CURRY DI POMODORO
Da: Nigel Slater - The Kitchen Diaries III, a Year of Good Eating


Per 4 persone:

2 cipolle medie
3 cucchiai di olio di semi di arachidi (io extravergine di oliva)
4 grossi spicchi d'aglio
1 peperoncino rosso piccante
1 cucchiaino di semi di senape scura
2 cucchiaini di curcuma in polvere
2 cucchiaini di semi di cumino
1 pezzetto (2 cm circa) di zenzero fresco
400 g di polpa di pomodoro in scatola (io pomodori freschi spellati al momento)
8-12 pomodori ramati, grossi ma non enormi
100 g di yogurt greco
(400 ml di acqua)
(Sale)
(Pepe nero)

Sbucciare le cipolle e tritarle grossolanamente, quindi farle cuocere lentamente nell'olio su fiamma bassa-media.
Pelare l'aglio, tagliarlo a fette sottili e aggiungerlo alle cipolle.
Tritare finemente il peperoncino e unirlo, con tutti i semi, alle cipolle.
Aggiungere i semi di senape, la curcuma e i semi di cumino e proseguire la cottura.
Pelare lo zenzero e tagliarlo a fiammifero. Aggiungerlo nel tegame e farlo cuocere brevemente, quindi unire la polpa di pomodoro in scatola, l'acqua, una macinata di pepe nero e il sale.
Aumentare la fiamma e portare al bollore, quindi aggiungere i pomodori ramati, ridurre la fiamma, coprire con un coperchio e portare a cottura per 25-35 minuti, girando i pomodori una o due volte: devono essere morbidi, ma non sfatti. Aggiungere altra acqua se la salsa dovesse addensarsi troppo.

Spingere i pomodori da un lato e versare lo yogurt, mescolando. Far scaldare la salsa mescolando delicatamente, senza farla bollire.
Servire accompagnata con riso o con pane naan caldo.
Questo curry accompagna magnificamente anche piatti di carne o di pesce.


OSSERVAZIONI

Come scrivevo nell'introduzione, il libro è scorrevole e le ricette sono scritte in modo "casalingo", meno tecnico di quello a cui ci hanno abituati i libri di cucina anglosassoni. Qui sale, pepe e acqua non sono citati nell'elenco degli ingredienti, ma compaiono nel corso dell'esecuzione, richiamando un modo di cucinare prettamente casalingo, alla mano, dando per scontata l'aggiunta di ingredienti presenti in tutte le case, tanto che non vale la pena citarli nella "lista della spesa". In un altro libro questa mancanza di precisione mi avrebbe irritato, questo invece è così alla mano, con Slater che si fa compagno di viaggi culinari del suo lettore - anzi, che rende il suo lettore partecipe della sua quotidianità in cucina - da fare apparire naturale il suo stile easy.

Al posto dei pomodori in scatola ho preferito usare quelli freschi, pelati al momento scottandoli in acqua bollente per 30 secondi. Il motivo non è un innato gastrofighettismo, ma il fatto che mi dà fastidio l'odore dei pomodori pelati in scatola. Per anni ho creduto che non mi piacesse la pasta al pomodoro, di cui mi dà fastidio perfino l'odore. Da quando ho partecipato all'MTChallenge sugli spaghetti al pomodoro invece, ho scoperto che non mi piace la pasta al pomodoro di conserva. :-)

Di solito dimezzo di netto le dosi di cumino delle ricette. Questa volta le ho lasciate per intero e non me ne sono pentita: si sente, ma non sovrasta gli altri sapori.

Pomodori, cumino, curcuma e senape in grani: a leggere questa sequenza di ingredienti verrebbe da pensare che facciano a pugni; si fondono invece alla perfezione, e lo yogurt regala quel tocco rinfrescante che amalgama il tutto.

Servito il giorno dopo, questo curry è ancora più buono: i sapori hanno infatti avuto il tempo di fondersi in un insieme che mi viene da definire mellow: dolce, caldo, avvolgente...

Come avrete capito da quanto scritto sopra, per me questa ricetta è assolutamente

PROMOSSA